Food after Covid: come risorgerà la ristorazione a Milano?

La situazione è nota, anche solo perchè ci riguarda tutti: abbiamo vissuto due mesi di lockdown, tutta Italia è chiusa in casa, le aziende e gli esercizi commerciali sono fermi.

Una cosa è certa: per gastronomie, ristoranti, pizzerie, gelaterie, birrerie il lockdown equivale a una condanna a morte se è vero che, come ci ha raccontato un imprenditore, i locali hanno abbastanza soldi in cassa per sopravvivere un paio di mesi. Poi falliscono.

Enzo Vizzari, critico gastronomico de L’Espresso, rileva prima di tutto i vincoli economici collegati a una crisi senza precedenti. “Pensando al “dopo”, ci sono due aspetti da tenere in considerazione: il primo è che sicuramente saremo tutti più poveri […]; il secondo, che non tutti avranno il pensiero o desiderio di uscire per andare al ristorante, da una parte per comprensibile timore e, dall’altra, appunto per una maggiore attenzione all’aspetto economico.”

L’impatto si vedrà in più direzioni: cosa mangeremo, come cambierà l’esperienza (all’interno del ristorante e a casa) e quanto spenderemo per farlo.

La situazione economica potrebbe portare a una polarizzazione: da un lato aumento del junk food in risposta alla crisi economica, dall’altro selezione estrema dei prodotti e innalzamento dei prezzi, per chi se lo può permettere.

In Cina, mentre i centri commerciali sono ancora deserti, Starbucks sta testando proprio in questo momento dei menu completamente plant-based, in risposta alla crescente diffidenza dei clienti nei confronti dei cibi di origine animale. La Cina tra l’altro era già il paese con il più alto numero di vegetariani, secondo lo Statista Consumer Report del 2019: il 9,6% dei cinesi dichiara di non mangiare carne, contro il 6,9% degli italiani.

Le prime immagini che arrivano dai paesi che hanno terminato il lockdown non sono per nulla confortanti: le distanze, il plexiglass, la riduzione del numero di posti non fanno ben sperare. Il fatto che l’aria condizionata possa infettare i clienti, con l’estate in arrivo, neanche.

Una recente ricerca di BCG prevede che i primi a tornare al ristorante potrebbero essere i giovanissimi, semplicemente perchè hanno meno paura di ammalarsi. Potrebbero essere i ristoranti piccoli a subire l’impatto in modo più evidente.

È quanto afferma in una lunga intervista sul New York Times David Chang, chef coreano-americano e proprietario di numerosi ristoranti: chi ha un brand forte e le spalle finanziariamente larghe sopravviverà, mentre le trattorie e i piccoli ristoranti sono a rischio.

La “nuova norma” richiede un cambiamento di approccio e un cambiamento di mentalità. Qualcuno chiuderà per sempre, qualcuno cambierà il modo di lavorare. Nessuno ha la ricetta per salvarsi: si va per tentativi. Vediamo cosa ne pensano loro, i ristoratori: abbiamo parlato con alcuni dei più rapidi a reagire, in una Milano che è ancora il centro italiano della pestilenza.

Pavè: cambiare modello di business, cercando di creare un sistema etico e sostenibile

Ciao Luca! Sono stato molto sorpreso di come avete reagito al lockdown. Mi racconti come l’avete vissuta?

Abbiamo chiuso Pavè volontariamente il 9 marzo: con 4 punti vendita avevano 35 dipendenti, anche per responsabilità verso di loro abbiamo deciso di interrompere l’attività, anche in anticipo rispetto alle regole ufficiali.

Dopo che abbiamo chiuso, semplicemente, abbiamo iniziato ad aspettare.

Abbiamo aspettato un mese, lavorando sugli aspetti di miglioramento e comunicazione interna: abbiamo fissato degli “incontri” virtuali con i responsabili dei punti vendita e del laboratorio.

Non abbiamo voluto iniziare subito con il delivery: in quel momento, all’inizio di marzo, i tempi del lockdown non erano chiari e non volevano riportare nessuno in laboratorio prima del tempo. Pensavamo di dedicare il mese di aprile a una sorta di rodaggio, in modo da far uscire qualcuno, uno alla volta dalla cassa integrazione.

Quindi, quando abbiamo deciso di iniziare col delivery, l’abbiamo fatto noi tre soci.

Ci è scoppiato tra le mani subito: il giorno stesso in cui abbiamo comunicato l’apertura è andato giù il server. Abbiamo recuperato e dal giorno seguente abbiamo avuto un flusso importante di ordini.

Non trascurare il fatto che fossero i giorni intorno al 25 aprile e al primo maggio: la gente voleva festeggiare. I prodotti di pasticceria sono collegati a un momento di celebrazione e di festa, ancora più importanti in questo momento faticoso.

Ora partiremo anche con il delivery del gelato e abbiamo grandi aspettative.

Quest’idea dell’ecommerce vi è venuta durante la quarantena oppure eravate già pronti?

Da tre o quattro anni avevano lo shop online, ma vendevamo solo prodotti secchi, che creano meno problemi di spedizione. C’è sempre stata richiesta anche per i prodotti freschi, come il pane e la pasticceria, ma non eravamo ancora riusciti ad organizzarci.

In realtà, all’inizio della quarantena eravamo già quasi pronti con una nuova versione dell’ecommerce, con i prodotti freschi. Ci abbiamo messo un po’ di tempo a lanciarla proprio perché non volevamo affrettare il rientro in laboratorio da parte delle persone che lavorano con noi.

Tra un po’ la città riaprirà, un po’ alla volta. Come la vedi? Come cambierà la ristorazione?

Abbiamo sempre voluto che Pavè fosse uno spazio per la condivisione, in cui la gente siede vicina, condivide gli spazi, si conosce e si ferma a parlare. Sarà dura tornare in tempi brevi alla situazione pre-virus (e in particolare la data del 18 sembra poco praticabile).

Le incognite sono molte: bisogna capire di cosa bisogna dotarsi, in che modo adeguare gli spazi. Ma soprattutto bisogna vedere cosa vorranno fare i clienti.

Diciamo che è un’occasione per vedere come cambia il business e come si può evolvere il modello di Pavè, soprattutto per la pasticceria.

Per noi la socialità rimane un elemento fondamentale per la ristorazione, anche se prevedibilmente ci sarà una vocazione maggiore all’asporto.

Fino a oggi non abbiamo voluto scendere a compromessi con le piattaforme di delivery “da battaglia”. Collaboravamo da anni con Urban Bike Messenger, un delivery di qualità. Dietro c’è un’idea creare delle condizioni migliori per tutto il sistema: per valorizzare i prodotti di qualità, ma anche di sostenibilità per i Rider. Fa tutto parte della stessa visione del mondo e dello stesso ecosistema.

 

 

Tipografia Alimentare: da bottega fisica a virtuale

Tipografia Alimentare

Mi racconti come avete deciso di fare delivery (non era ovvio, molti non l’hanno fatto) e come funziona? 

È stata una scelta abbastanza ovvia, da bottega fisica (funzione che abbiamo sempre, in qualche modo, ricoperto) a bottega virtuale. Non puoi/vuoi uscire? Ti portiamo noi il vino a cui eri abituato, ovvero il vino naturale e di piccoli produttori (che di certo al supermercato non si trova). Chiaramente non sostituisce minimamente in nostro business normale, ma ci permette sicuramente di:

– mantenerci sani di mente e continuare a lavorare
– mantenere una continuità e una relazione con i nostri clienti, seppur a distanza
– continuare a proporre delle novità e stimolare la curiosità
– “mettere delle toppe” ai giganteschi buchi economici di questo periodo
– dare un servizio al quartiere e a Milano

Mangiare da voi è un’esperienza particolare, in cui l’ambiente e la relazione con voi fa la differenza. Come si fa a trasmettere queste cose nell’esperienza di delivery?

Non si può, ci si avvicina, forse. Quello che è Tipografia Alimentare non si può portare a casa, si può avere un pezzetto, ma di certo non il pacchetto completo. Quello che con mia mamma e la nostra squadra abbiamo cercato di fare in questi due anni è creare un’esperienza, non solo di consumo, ma educativa, politica e di convivialità. Certe cose non si possono avere nelle proprie case (fortunatamente, altrimenti la ristorazione sarebbe molto diversa). Bisogna vivere lo spazio, le persone sconosciute e conosciute che si incontrano, i sapori così come arrivano al tavolo, in un piatto di ceramica fatto da noi, nel calice di TipA, seduti su una sedia restaurata da mia mamma. Io la ristorazione, quella che facciamo noi -poi ce ne sono di molte altre tipologie –  la vivo così, e non la riesco a immaginare (per ora, poi magari le cose dovranno cambiare) nelle case dei clienti. Ma di nuovo, non perché le case abbiano qualcosa che non vada, ma perché lì si vive un altro tipo di esperienza.

Tipografia Alimentare

Molte persone sono dubbiose nei confronti del delivery, perchè pensano che sia poco etico (nei confronti di chi trasporta il vino o il cibo). Cosa vorreste dire a queste persone?

Su questo sono molto sensibile. La ristorazione è un settore che fa molta fatica ad essere etico al 100%, e chi lo fa è importante che lo faccia fino in fondo. Quindi sì, sono d’accordo. Si dovranno trovare delle alternative, magari gruppi di ristoratori che si mettono insieme per organizzare dei delivery “privati”, che possano essere etici.

Forse, le persone mangeranno di meno al ristorante e sceglieranno in modo più accurato le uscite. Pensi che ci sarà più attenzione alla qualità del cibo, alla sua provenienza?

Beh, non posso che augurarmelo. In generale penso che si dovrà porre attenzione a molti più fattori di prima, soprattutto inizialmente. I ristoranti hanno passato il periodo più difficile degli ultimi 20 anni credo, forse di più. Le accortezze che prima c’erano solo tra addetti del settore (prenotare e presentarsi puntuale – e soprattutto presentarsi!, prenotare un tavolo e poi consumare – non bere solo un caffè occupandolo per tre ore -, liberare il tavolo se si ha finito di consumare per consentire il cambio turno, ecc…)Per quanto riguarda la qualità del cibo sì, sono convinta che questa attenzione iniziasse a essere più diffusa già prima di questa emergenza sanitaria, e credo che dopo non potrà che crescere. Uscire sarà più speciale, più pensato.

Cosa ci sarà dopo? Come vedete il futuro? (In particolare, sto vedendo su internet delle immagini inquietanti dei ristoranti cinesi dopo il lockdown, con pochissimi tavoli e barriere di plexiglass. Ha ancora senso fare fine dining in un sistema come quello?)Ho visto che anche il vostro modo di fare delivery è già cambiato da questa settimana.

Questa è una domanda difficile, la più difficile. Sinceramente stiamo vivendo le cose giorno per giorno, organizzandoci sì per il futuro, ma creando degli scenari molto confusi. Non so cosa ci sarà dopo, so che le cose saranno molto diverse rispetto a quello a cui eravamo abituati. Le persone dovranno riprendere ad uscire. E l’inizio sarà lentissimo. La casa è ormai uno spazio sicuromentre il ristorante rappresenta un luogo di “vicinanza” che non può più di tanto assicurare questo famoso distanziamento sociale. La ristorazione non è fatta per il distanziamento sociale, ma per l’avvicinamento sociale. Non so come vivremo il futuro, bisogna evolvere e adattarsi, almeno per il momento. Da questa settimana abbiamo aperto il nostro locale solo per l’asporto, ma il delivery così com’era continua (questo fine settimana se tutto va bene lanceremo un piccolo eshop, così da facilitare il cliente nella scelta delle bottiglie da bere a casa – le schede prodotti sono scritte tutte da me).

 


Camilla Dalla Bona: una pedalata nel mondo dei rider

Mi racconti cosa stai facendo in questo momento? 

Sto sempre lavorando come freelance però, nei primi momenti del lockdown, sono entrata un po’ di ansia, perché mi sono stati cancellati dei lavori. Da lì a poco, non avrei più nessun tipo di entrata e ho deciso di integrare il lavoro nel mio ambito con il lavoro della rider. Quindi da inizio Aprile, ho avuto la possibilità di uscire di casa e lavorare e di vedere la città sotto una prospettiva diversa — e soprattutto vuota.

Come rider, hai modo di vedere diversi ristoranti a Milano. Che situazioni hai incontrato? Come si stanno organizzando per far fronte alla nuova situazione?

Allora, prima non facevo la Rider, quindi, non so esattamente com’era la situazione in precedenza. Ho notato comunque che molti ristoranti — anche quelli che prima non facevano Delivery ed erano molto lontani da quel mondo — hanno iniziato a fare delivery  con le piattaforme. Ci sono quelli che stanno riuscendo a gestire la situazione, ed altri invece che non ci stanno riuscendo così bene. Purtroppo a rimetterci sono gli stessi rider per due motivi: sia per una questione di sicurezza, perché si creano degli assembramenti fuori dai ristoranti, sia per una questione di perdita di tempo del rider che poi alla fine del turno lavorerà di meno.

Come si stanno organizzando per far fronte alla nuova situazione?

Dato che dal 4 maggio hanno aperto anche al take-away, stanno cercando di capire se dare la priorità ai rider o alle persone che vanno fisicamente nei ristoranti per ordinare da asporto distribuendoli su due file. Nella maggior parte dei casi, i ristoranti hanno scelto di dare la precedenza a chi sta facendo il take-away, questo ha delle conseguenze sul Delivery perché porta a dei ritardi nelle consegne. Invece per quanto riguarda il personale, nei ristoranti ovviamente non ci sono camerieri, oppure vengono impiegati in altre mansioni come impacchettare il cibo per il delivery. All’interno delle cucine, mi sembra che la situazione sia più o meno la stessa, semplicemente ci sono dei dispositivi di sicurezza maggiori — che non vedo sempre rispettati — e poi ci sono manager dei ristoranti che cercano di tenere le fila, monitorando gli ordini delle varie piattaforme di Delivery. I ristoranti sono ovviamente tutti vuoti. Di solito, le sedie sono tutte ammassate in un angolo e la cosa fa un po’ impressione: gli interni dei locali sono vuoti, sembrano delle piste da ballo.

Molte persone non stanno ordinando con food delivery perché sono sospettose nei confronti dell’igiene del cibo o del delivery stesso. Che ne pensi?

A chi ha paura dal punto di vista igienico, posso dire che in realtà nel momento in cui il cibo viene cucinato, i germi vengono uccisi. Quindi, non c’è tanto rischio. Per quanto riguarda poi l’inscatolamento e tutti i passaggi a cui vengono sottoposti i cibi, le persone che preparano il cibo e che si occupano di questi passaggi tengono sempre la mascherina. Non vedo un grande un grande rischio. Al massimo se non ci si fida, si può riscaldare il cibo a casa per uccidere il virus. Ovviamente la qualità del cibo poi si abbassa.

Per quanto riguarda il trasporto, ci sono dei cibi che hanno dei packaging che possono essere contaminati in un qualche modo, per esempio, i cartoni della pizza che hanno i buchi attraverso cui può passare qualcosa dentro lo zaino. Mi sembrano comunque dei passaggi molto difficili. La probabilità deve essere molto bassa. In ogni caso le disposizioni di Deliveroo — la piattaforma per cui lavoro io — sono quelle di consegnare il cibo senza prenderlo in mano: il cliente lo prende direttamente dallo zaino senza che il rider glielo passi. Questa disposizione viene data da Deliveroo via mail e viene anche visualizzata tutte e volte in cui apri la piattaforma per collegarti al lavoro. Sta al Rider leggere questo tipo di comunicazioni. Ecco un problema può essere che tutte queste comunicazioni sono scritte solo in italiano quando spesso molti rider non lo capiscono. Questo è un problema della piattaforma che non ha la capacità di capire che i Rider non sono non solo italiani e che le disposizioni devono essere scritte in altre lingue. In ogni caso, Deliveroo ha anche distribuito delle mascherine, dei guanti e dei dispositivi di sicurezza per i Rider che in ogni caso sono l’anello della catena che hanno meno contatto con il cibo e che aggiungono meno rischi — la responsabilità secondo me è più che altro dei ristoranti.

Altri, invece, non usano Deliveroo, Just Eat e UberEats perché non vogliono contribuire a quello che percepiscono come un lavoro sottopagato. Cosa gli diresti?

A queste persone dico che, sicuramente, da un certo punto di vista, può essere giusto non comprare tramite queste piattaforme, ma che la scelta di rivolgersi direttamente al ristorante telefonando può mettere ancora più difficoltà i rider, perché spesso gli ordini che vengono fatti direttamente ai ristoranti ritardano gli ordini dei Riders che quindi perdono soldi e tempo. In realtà, comprando tramite i rider, si dà la possibilità di vivere a persone che spesso non hanno grandi possibilità economiche — queste è il loro l’unico modo per poter guadagnare qualcosa: è un lavoro sottopagato però almeno hanno un modo per guadagnarsi da vivere. Piuttosto, sarebbe interessante sensibilizzare la piattaforma in qualche modo e ed è già successo. Esiste un sindacato che si occupa dei rider e ha iniziato quando avevano ancora meno tutele rispetto ad oggi. Pensa a questo: molti rider non vengono nemmeno da Milano, quindi magari prenotano la sessione per cui vogliono lavorare e poi magari si trovano pochi ordini: si sono fatti tutto il viaggio in treno, hanno pagato il biglietto del treno per non lavorare. Non c’è una soluzione semplice però più che boicottare perché i rider sono sottopagati preferisco la strada della sensibilizzazione. Ah e se ordinate date tante mance e in contanti!

 

Altatto: costruire un’esperienza di delivery differente

L’esperienza gastronomica di Altatto è curata in tutti i dettagli e l’ambiente fa la sua parte. Cosa succede nel caso del delivery? Cambia tutto?

L’ idea del box nasce dal desiderio di fare qualcosa che seppur da lontano ci avvicini il più possibile alle persone che ruotano intorno ad Altatto, dando grande valore all’ aspetto umano. Il delivery classico infatti, per una cucina come la nostra, basata su un’attenzione quasi maniacale alla freschezza e alla cucina espressa, non era congeniale.

altatto

Abbiamo iniziato quindi a riflettere su una formula che potesse garantire queste caratteristiche coinvolgendo e facendo vivere un’esperienza ai nostri clienti. Ecco che è nato ALTATTO A CASA TUA, una via di mezzo tra un delivery e una piccola lezione di cucina, un’ esperienza in cui Altatto entra per una sera nella case delle persone guidando e cucinando con loro.

Gli ingredienti del box con un packaging super hand made infatti sono perfettamente pesati e il procedimento, arricchito dei nostri preziosi consigli,  passo dopo passo giuda chi deve eseguire il piatto.Vogliamo insomma dare calore, un’ esperienza e il divertimento di una serata diversa a chi lo acquista.  L’offerta sta crescendo e da questa settimana ci sono già due piatti diversi da poter scegliere con una proposta anche vegana, I box sono da 2, da 3 e da 4.  Per accompagnare il box una selezione di vini che fanno parte della carta di AltattoBistrot tutti rigorosamente naturali!

 

 

 

 

(photo credits: le fotografie di AlTatto sono di Ambra Crociani, quelle di Camilla Dalla Bona sono di Camilla Dalla Bona, quelle di Pavè sono di Pavè  e quelle di Tipografia Alimentare vengono dal loro Instagram).

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