Poco da dire affezionatissimi lettori, il panettone fa schifo. Ammettiamolo, anzi: ammettetelo a voi stessi, io lo so da anni. Finitela una buona volta di mentirvi e piegarvi a un becero conformismo che prosegue da secoli, vi fa ben più onore la verità, soprattutto nel caso riusciate a dirla a voi stessi.
Siate uomini, diamine! O donne, certo, come preferite.
E il panettone fa schifo, ma non fa tanto schifo in sé, il panettone fa schifo perché portatore sano di una tremenda malattia di cui lui è incolpevole ma per la quale a un allegorico patibolo dovrebbero salire i mastri pasticceri: le uvette.
Quelle stramaledette, spregevoli uvette, autentiche nemiche del Natale in grado di rovinare un dolce che tutto sommato sarebbe buono senza di loro. Invece no. Invece quelle stramaledette uvette che trovano un senso solo e soltanto nelle sarde in saor. Ma nel panettone, nel panettone perdio, mi fanno perdere le staffe.
È un odio razionale quello che provo nei confronti di questo dolce delle feste, tipico della tradizione milanese. Ma la tradizione vive proprio lì, la vedete no? È a due passi dal patriottismo, quel patriottismo che Samuel Johnson definiva l’estremo rifugio delle canaglie, e a ragione.
Il panettone è proprio questo: l’estremo rifugio delle conformiste canaglie enogastronomiche, ma attenzione! Lo è specularmente rispetto al termine “gastronomico”: infatti è buono quando viene preparato e farcito in quella versione, con ogni ben di Dio e meglio se salato, ma è canagliesco se proposto in versione tradizionale con canditi e uvette. Soprattutto le maledette uvette.
È nell’abbinamento con il vino moscato che il panettone però riesuma il più stantio e polveroso vecchiume, una tradizione che mi farebbe diventare futurista solo per il desiderio di distruggerla. Ma alla fine non lo faccio, che i futuristi erano simpatici per altri motivi e non certo per la “guerra solo igiene del mondo“.
Odio il panettone per un’infinità di motivi, ma soprattutto perché dà il via alla sagra della banalità: per cui non vuoi che a dicembre, e a volte perfino già a novembre, il panettone inizi a girare negli uffici? Eh sì che gira.
Perché c’è sempre la collega o il collega che no, non porta le pizzette, i salatini, eh no! Lei o lui, che sono amanti della tradizione, che vogliono accontentare tutti, questi ignavi del gusto, questi marionette manovrate dalle lobby delle uvette, che sono fossilizzate sulla tradizione più sterile, loro sì che vanno bene!
Con un bel panettone alle 11 del martedì, insieme al caffè della macchinetta.
E come fare a dire di no a quei maledetti? Ditelo. Starete meglio.
Regalo più odiato dai fornitori – e più riciclato, il panettone è un virus da cui non ci si sbarazzeremo mai, i prossimi scadranno nel 2039 – il panettone rappresenta il peggio del peggio dell’identità italiana.
L’emblema della banalità, dell’andare sul sicuro anche se il sicuro fa schifo, di tutto il peggio che questo Paese ha prodotto, e a cui l’Italia e gl’italiani rimangono aggrappati come telline allo scoglio.
Per questo sono contro il panettone: lapidatemi pure, morirò sereno, non importa.
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