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Nella pizza più buona del mondo ci vuole la maionese

Se c’è un elemento del nostro paese riconoscibile nel mondo è la pizza. Di quelli che qualsiasi cosa tu faccia e tipo di persona sia, dallo Zambia ad Alpha Centauri sarà sempre il tuo biglietto da visita. E sulla pizza ognuno è pronto a dire la sua. Perché senza l’acqua di Napoli non puoi mangiare quella vera, ma non è vera pizza neanche se non è al taglio e nel centro di Roma.

A colazione

Non è la pizza migliore nemmeno se non è quella barese, e la pizza poi sì, certo, ma la focaccia ligure è un’altra cosa. È tutto giusto, perché in fondo quando difendiamo certe cose c’entra molto più che il gusto personale. Ci sono i sapori dell’infanzia, i luoghi di formazione e le ricette della nonna, e noi a queste cose ci teniamo.

Ma la pizza più buona del mondo la fanno a Pesaro, e ci si mette la maionese.

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Ora, se stai leggendo questo articolo i casi sono due: o sei di Pesaro e sai di cosa stiamo parlando, quindi sei venuto qui a gongolare con le dita unte sullo schermo (un po’ come chi scrive, del resto); oppure non sai di cosa stiamo parlando e sei venuto a scoprire quale aborto gastronomico possa unire la pizza e la maionese, immaginandoti Pacciani che porta le uova a bollore nella campagna toscana su una inerme pizza margherita. Se al primo non c’è bisogno di dire nulla, lui è qui a guardare che succede e bearsi delle grandezze della propria terra, è a te, caro amico della seconda categoria, che stiamo parlando. La nostra storia parte proprio da Pesaro, una ridente cittadina del nord delle Marche, tanto vicina alla Romagna da sentirsi sorella di Rimini e Riccione (in maniera scarsamente ricambiata). Le cose che rendono grandi Pesaro nel mondo sono il basket, l’industria del mobile, qualcuno che ogni tanto dice che ci ha fatto il militare e/o ha studiato ad Urbino, una florida scena musicale indipendente, un bel festival del cinema ed un fantasmagorico festival di musica lirica dedicato a Gioachino Rossini, che a Pesaro ci è nato. Proprio al compositore pesarese, noto gourmet, è dedicata la Pizza Rossini.

Uovo sodo e maionese

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La ricetta è davvero molto semplice: pizza a base margherita, uovo sodo tagliato a fette e maionese. Tanta, ma tanta maionese. Se la Rossini formato pizza standard, quelle da partita e cena della domenica sera, si è fatta largo in tutte le pizzerie del comune conquistando generazioni e generazioni di adolescenti fattoni, la quintessenza della Rossini è in formato pizzetta da pasticceria. Perché il pasto d’elezione della Rossini non è la cena ma la colazione, accompagnata non dalla birretta ma dal cappuccino. Per i più accaldati, in caso, il the al limone. E se vi fa schifo l’idea è perché non l’avete mai provata. A livello nutrizionale rappresenta infatti la versione commestibile della sezione aurea, essendo perfettamente bilanciato il rapporto tra i carboidrati dell’impasto, le proteine dell’uovo, le fibre del pomodoro e il grasso della maionese, apportando all’organismo una riserva di energia e risorse fondamentale. (Se sei un nutrizionista vero e stai leggendo questo inciso è per te: sì, lo sappiamo che è una cazzata, che la Rossini è una bomba calorica inutile. Ma tu lasciaci sognare, vogliamo restare unti e felici).

Unti e felici

A tutti gli arditi in ascolto, la pizza Rossini è facilmente replicabile anche a casa. Con una margherita semplice ordinata dalla vostra pizzeria di fiducia è semplice per chiunque riprodurre gli altri due, fondamentali ingredienti e raggiungere un risultato molto simile all’originale. Certo, il quid in più lo darebbe come sempre una mano esperta, ma avanziamo per gradi.

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La verità è che per chi è nato a Pesaro la Rossini non è solo una psichedelica assurda buonissima pizza, ma un rituale collettivo, un rito di passaggio, una bandiera e un’icona. La Rossini è la nostra madeleine. Spiegata così fa schifo e non vi verrebbe mai da provarla? Anche il panino con la milza fa schifo detto così, ma andate a vedere a Palermo cosa vi rispondono. E il caso martzu o il sanguinaccio poi? La verità è che ognuno ha la sua Rossini, in un piccolo posto tra il cuore e lo stomaco, che sia il piatto strano e un po’ disgustoso che cucinava nonna o quella schifezza che mangiavate di notte con i compagni di Università. Viva le stranezze allora, viva la maionese, viva gli ingredienti assurdi e gli accostamenti sbagliati. Dovremmo osare di più, mischiare le cose e ungerci le dite. Non sempre poi, certo, solamente un po’ di più.

Vittorio Farachi

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Vittorio Farachi

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